il manifesto - 03 Aprile 2003
Indagato anche l'(ex) imam di Firenze
Oggi gli interrogatori. La Digos: «Non ci sono elementi per parlare di attentati»
CI.GU.
ROMA
Spuntano nuovi indagati nell'inchiesta sulle presunte cellule di Al Quaeda in Italia, che secondo gli inquirenti rappresentano la nuova «forma» che i terroristi islamici si sarebbero dati nell'ultimo anno. L'altro ieri sono finite in carcere sei persone: l'imam di Cremona e il suo aiutante, due kurdi iracheni residenti a Parma, un egiziano e un somalo fermati a Milano. Ieri è stato reso noto che anche l'ex imam della moschea di via Tagliamento a Firenze, il marocchino Mohamed Rafik, 38 anni, è indagato nell'ambito dell'indagine svolta dai Ros di Cremona. Secondo l'ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Maurizio Grigo, Rafik «risulta avere qualificati contatti con estremisti presenti in Germania per attività di reperimento di fondi» da inviare ai famosi gruppi di combattenti che in queste ultime settimane sarebbero partiti dall'Italia diretti nel nord Iraq per fiancheggiare il gruppo fondamentalista islamico Ansr Al Islam. Intanto dalla Norvegia giunge la notizia che il mullah Krekar, kurdo iracheno ritenuto capo di Ansar Al Islam (ma lui nega), è stato scarecerato dopo essere stato coinvolto in un'inchiesta antiterrorismo. Tornando in Italia il ruolo di Rafik sarebbe defilato, in pratica un «raccoglitore» di fondi. Su di lui pesa un'intercettazione telefonica: lo scorso 28 febbraio telefonò all'imam di Cremona - Mourad Trabelsi - ricordandogli un incontro fissato per marzo con i «fratelli tedeschi». Tra Trabelsi e Rafik c'è una certa conoscenza, visto che quest'ultimo nel 2002 ha passato un periodo a Cremona, dove è stato anche fermato nell'ambito di una perquisizione eseguita dall'antimafia di Brescia che dal `98 tiene la moschea sotto controllo. Trabelsi era già finito in carcere insieme al suo ex capo Ahmed El Bouhali, forse morto in Afghanistan. Per quanto riguarda Rafik si tratta di persona molto conosciuta. Izzedin Elzir, presidente della Comunità islamica fiorentina, lo definisce «persona degnissima».

L'inchiesta mira a ricosturuire i passaggi - che sarebbero stati decisi il 16 maggio scorso in una riunione in Polonia tra «sceicchi» - che avrebbero portato a costruire in Italia un'organizzazione capace di fornire persone disposte a combattere al fianco di Al Ansar. C'è da capire quanto senso abbia il riferimento, nelle ordinanze di custodia cautelare, all'articolo 270 ter che individua il reato di attività finalizzate al terrorismo internazionale. Cioè un'accusa molto precisa, e molto grave. Massimo Mazza, dirigente della Digos di Milano, che si è occupata dell'inchiesta che ha portato in cella un egiziano e un somalo, parla di «segnalazioni della volontà generica di compiere presunti attentati senza però alcun elemento concreto che facesse capire se si sarebbe trattato di azioni in Italia o all'estero e se alle intenzioni stavano per seguire fatti concreti». Il legale dei due fermati a Milano, Sandro Clementi, ha già annunciato che consiglierà ai suoi assistiti (oggi gli interrogatori), di non rispondere: «L'ordinanza di custodia cautelare non dice assolutamente nulla. Si tratta di accuse immotivate e pretestuose». Intanto la destra non perde tempo per strumentalizzare l'inchiesta: il capogruppo consigliere milanese della Lega nord, Matteo Salvini, ha chiesto ieri la chiusura della moschea di viale Jenner. Sempre nell'ottica dell'«azione preventiva». Preoccupato del clima è Filippo Miraglia dell'Arci che rileva come «si sta creando una strettoia a discapito di tutti gli immigrati di religione islamica in Italia. I sospetti generici non aiutano».