il manifesto - 18 Marzo 2003
Mancano i fondi per l'emergenza umanitaria
Le agenzie dell'Onu preparano piani per assistere profughi e sfollati. Ma i governi non aprono il portafogli
I paesi confinanti preparano campi profughi, l'Onu ammassa derrate. Ma nessuno riesce a prevedere se e quanti fuggiranno. Due milioni di sfollati interni da sfamare?

MARINA FORTI
Potrebbe essere solo un'avvisaglia, il flusso di sfollati che nelle ultime ore lascia le città kurde irachene per cercare rifugio nei villaggi di montagna. Per ora si tratta di alcune migliaia di persone, e dalle testimonianze raccolte in queste ore intendono restare nei confini iracheni: vogliono solo lasciare le città che potrebbero diventare teatro di combattimenti o rappresaglie. Ma quando le bombe cominceranno a cadere, il numero degli sfollati potrebbe aumentare. E poi: da tempo chi poteva ha fatto riserve di cibo e acqua, ma le Nazioni unite temono un'emergenza alimentare: oggi il 60% dei 25 milioni di iracheni dipende dalla distribuzione pubblica di generi alimentari, ma molti temono che il sistema di distribuzione pubblica costruito con il programma oil for food crollerà. Insomma, le organizzazioni umanitarie delle Nazioni unite dovranno far fronte a un'emergenza, e a questo si stanno preparando da settimane, seppure in modo discreto. Si scontrano però almeno a due problemi. Il primo è che sembra davvero difficile prevedere le dimensioni della catastrofe. L'Alto commissariato del'Onu per i rifugiati (Unhcr) si prepara ad assistere fino a 600.000 profughi: «Ma è un numero `di lavoro', perché non sappiamo quale sia una previsione realistica», spiega Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr in Italia: dipende «se la guerra è breve o prolungata, se sarà convenzionale o no, se i paesi confinanti terranno aperte le frontiere o le chiuderanno». Intanto l'Unhcr ha «posizionato» beni di prima necessità in tutti i sei paesi confinanti (tende, stufe, coperte, kit igienici, e così via). Durante la guerra del Golfo nel `91 un milione di iracheni fuggì in Iran - sciiti dal sud iracheno, kurdi dal nord - e quasi la metà ci è rimasta; forse altrettanti fuggirono in Giordania. Molti segnali dicono che questa volta la fuga non sarà così drammatica, ma le agenzie dell'Onu devono essere pronte a quasi ogni evenienza: «Se l'esodo c'è l'impatto umanitario è immediato», dice Boldrini.

Per il momento, l'Iran sta preparando dieci campi vicino alla sua frontiera con l'Iraq, che potranno ospitare all'occorrenza ventimila persone ciascuno, 200mila in totale: sono soprattutto lungo il confine meridionale. La Giordania sta preparando due accampamenti pressi il confine a Ruweished, per venti o trentamila persone ciascuno: entrambi i paesi hanno messo in chiaro che terranno eventuali profughi nelle zone di frontiera, sperano di non vedere esodi di massa.

Anche il World Food Programme si sta preparando: ha mobilitato migliaia di tonnellate di derrate alimentari in magazzini nei paesi confinanti, pronte a essere portate all'interno dopo l'attacco militare. Il Wfp «lavora» su una previsione di 900mila persone sfollate o comunque da nutrire per due mesi e mezzo, diceva giorni fa il portavoce Maarten Roest.

Del resto non si tratta solo di eventuali profughi: anzi, l'Unhcr fa notare che gli irachenii sono già da tempo il primo gruppo di richiedenti asilo in Europa e in tutti i paesi industrializzati (e il terzo gruppo su scala mondiale, dopo gli afghani in Pakistan e Iran e dopo i burundesi in Tanzania). Piuttosto, sarà l'insieme di sfollati all'interno dei confini, persone senza tetto e sistema di distribuzione alimentare e d'acqua potabile al collasso: questa sarà l'emergenza. Qualche settimana fa l'Onu ha formato una «task force» per preparare i piani per affrontare quest'emergenza: precede fino a 2 milioni di sfollati all'interno del paese.

E però sorge il secondo problema, quello finanziario. Il Wfp aveva fatto appello ai paesi donatori per 23 milioni di dollari per la prima emergenza, ma proprio oggi ha fatto sapere di aver ricevuto finora solo 7,5 milioni di dollari. L'Unhcr aveva chiesto 60 milioni di dollari per le necessità di base iniziali: al momento ne ha ricevuti 16 - ma ne ha già spesi 25. Così pure la Unocha, ufficio dell'Onu per il coordinamento delle attività umanitarie: aveva chiesto 120 milioni di dollari, ne ha ricevuti 30. Tutte queste organizzazioni stanno attingendo ai loro fondi di emergenza, che però andranno ricostituiti in fretta . «Ci auguriamo che chi vuole andare alla guerra si faccia carico anche dei suoi costi umanitari», dice Laura Boldrini.