il manifesto - 12 Marzo 2003
COMMENTO
Bossi-Fini, pericolo pubblico
ASTRIT DAKLI
Anche i grandi media, giornali e tv nazionali, si sono dunque accorti di quel che altri avevano letto fin dall'inizio tra le righe della legge Bossi-Fini, la sanatoria che ha portato all'«emersione» di oltre settecentomila lavoratori immigrati irregolari nel nostro paese. Si sono accorti cioè che la legge lascia un larghissimo margine di arbitrio ed espone gli immigrati onesti - quelli che si presentano alle autorità italiane pensando di non aver nulla da temere - a rischi che gli immigrati «cattivi», quelli che effettivamente compiono gravi reati, siano o no clandestini, non corrono. La vicenda della colf ucraina catturata nella casa dove lavorava, chiusa in un lager e spedita a Kiev nel giro di poche ore, neanche fosse un pericolosissimo criminale, ha fatto molto rumore (anche perché la sua «padrona» italiana si è risentita e ha giustamente sollevato un pandemonio). Altre vicende simili erano avvenute prima e continuano ad avvenire, a centinaia, fuori dai riflettori mediatici. La questione però è ben più ampia: la legge vigente, con le sue circolari integrative, prevede l'espulsione immediata dello straniero che ha presentato domanda di regolarizzazione se risulta che questi 1) «è stato sottoposto a procedimento penale» (non a una condanna, si badi); ovvero 2) risulta «segnalato, in base ad accordi internazionali, ai fini della non ammissione» in Italia. Dunque, se l'immigrato ha avuto in passato un qualsiasi problema con le autorità, in Italia ma anche all'estero, va espulso all'istante, prima di provare una sua eventuale colpa, anche se il «problema» non dipendeva da lui e anche se il suo comportamento in Italia è irreprensibile. Anzi, proprio perché si è onestamente presentato alle autorità dando le proprie generalità e il proprio indirizzo, egli risulta più facilmente punibile.

Ma il legislatore non sembra aver tenuto conto del fatto che l'espulsione immediata rappresenta - proprio per il lavoratore straniero onesto e indifeso, non certo per il mafioso, che può tranquillamente fregarsene - una punizione spaventosa e ingiusta, tale da rovinare spesso la vita sua e della sua famiglia. Una punizione, inoltre, che gli viene comminata in via extragiudiziale, senza possibilità di ricorso o appello, in considerazione del fatto che in quanto straniero basta una denuncia o una segnalazione per farne un «pericolo per la sicurezza pubblica»: dunque introducendo una gravissima discriminazione tra persone che vivono e lavorano sul territorio nazionale (una denuncia non cambia di una virgola la vita di un cittadino italiano). Il che dovrebbe anche far nascere dei seri dubbi di costituzionalità; ovvero far temere - e noi questo temiamo - che sulla pelle dei più deboli, cioè oggi gli stranieri che lavorano onestamente, si stiano sperimentando regole destinate in futuro a tutti quanti. Salvo, s'intende, a chi sostiene di lavorare per una giustizia più giusta, depenalizzando i suoi propri reati.