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il manifesto - 07 Febbraio 2003 MONDO pagina 04
indice mondo

pag.04

Il Vaticano stronca Powell
MIMMO DE CILLIS *
 
Chirac e Putin: soluzione politica
PARIGI
 
Restano in carcere i presunti terroristi islamici
CINZIA GUBBINI
ROMA
 
APPELLO
Ma quale guerra chirurgica
MARINELLA CORREGGIA
 

pag.05

L'ultimatum al mondo
FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
 
Avviso degli ispettori: «Baghdad cooperi»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
 
Anche la Turchia islamista si arruola
S.D.A.
ANKARA
 
Hoffman: Bush usa il dolore del paese
 
Musharraf da Putin: no alla guerra unilaterale Usa
 

pag.06

Corea del Nord, Usa pronti a tutto
P. D'E.
TOKYO
 
Guantanamo: 14 hanno tentato il suicidio
 
REPORTAGE
Hebron, la signora della scala
MICHELE GIORGIO
GERUSALEMME
 
Testimonianza da Nablus sotto le bombe
 
BOLIVIA
Nuova base Usa contro i cocaleros
 
ARGENTINA
Arrestate quel prete torturatore
 
 

taglio basso

Restano in carcere i presunti terroristi islamici
Rinvio a giudizio per gli indagati dalla Procura di Roma. Interrogati i pachistani arrestati a Napoli
CINZIA GUBBINI
ROMA
Restano in carcere, per ora, tutti e 12 gli imputati al processo romano sul terrorismo islamico. Per quattro di loro, forse, si apriranno a giorni le porte del carcere di Rebibbia dove sono rinchiusi ormai da un anno. Ieri il gup Luisanna Figliolia ha rinviato a giudizio i nove marocchini, l'algerino, il pachistano e il tunisino coinvolti nell'inchiesta per reati che vanno dall'associazione eversiva alla violazione delle leggi sulle armi, alla ricettazione di documenti falsi. Il giudice si è riservato, invece, di decidere sulla richiesta di arresti domiciliari per quattro marocchini, appoggiata anche dai pm. Proprio tre giorni fa i pm del «pool antiterrorismo», Franco Ionta e Erminio Amelio, hanno invece integrato il capo di imputazione per il pachistano Ahmad Nasser, l'algerino Chiahab Goumri e il tunisino Abdelmoname Ben Khalifa Mansour - arrestati lo scorso marzo nell'ambito dell'inchiesta sulla moschea romana «Al Harmini», a due passi dalla stazione Termini nel quartiere Esquilino - ipotizzando un collegamento con Al Quaeda, oltre che con gli algerini del Gruppo islamico armato (Gia) e del Fronte islamico di salvezza (Fis) come sostenuto fino ad ora. Il processo si aprirà il 5 maggio alla seconda corte d'assise di Roma. Subito dopo la lettura del decreto di rinvio a giudizio Ikbal Said, uno dei marocchini accusati, ha ribadito la sua innocenza: «Sono sicuro che la verità verrà alla luce», ha detto ricordando che si costituì spontaneamente appena seppe di essere ricercato. «Abbiamo aspettato un anno per difenderci - ha detto un altro marocchino, Fajcal Carifi - aspetteremo ancora tre mesi perché non abbiamo paura della verità». Si dicono, tutto sommato, soddisfatti anche gli avvocati difensori: «Capisco la posizione del Gup - ha commentato Domenico Martelli che difende quattro dei nove marocchini - anche se speravamo che la vicenda si concludesse in questa fase processuale». Per quanto riguarda l'accusa più grave a carico dei marocchini, infatti, e cioè la detenzione di 4 chili e 400 grammi di ferricianuro di potassio rinvenuti lo scorso febbraio nel cassetto del gas dell'abitazione di via Sava a Tor Bella Monaca (dove risiedevano tre dei marocchini imputati, in seguito messi in collegamento dai pm con gli altri marocchini che risiedevano invece in via Buscemi), la cassazione ha già accolto il ricorso degli avvocati. La corte ha stabilito che il ferricianuro di potassio, con cui secondo i pm i marocchini intendevano avvelenare le acque di Roma, non è un «agente chimico aggressivo». Lo è soltanto, e parzialmente, se riscaldato a 500 gradi. Piuttosto, essendo stati rinvenuti durante la perquisizione 101 documenti di identità falsi, ed essendo il ferricianuro utilizzato anche nella fotografia, è probabile che servisse per stampare i documenti. Diversa la posizione degli altri tre indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla moschea e messi in collegamento con Al Quaeda. «In questa sede non potevamo aspettarci nulla di diverso. Solo la corte d'assise potrà cancellare questa pagina triste della giustizia», ha commentato l'avvocato difensore del tunisino Naim, Caterina Calia. «In corte d'assise saremo tranquilli perché gli elementi d'accusa sono così labili che non si potrebbe giustificare una condanna», ha aggiunto l'avvocato Simonetta Crisci, che difende Nasser Ahmed, propietario dei locali della moschea di via Giolitti. Sui tre esistono delle registrazioni ambientali in cui si sentirebbero frasi riguardanti «kalashnikov» e l'intenzione di «uccidere Bush».

Prosegue anche l'inchiesta napoletana. Ieri sono stati interrogati 18 dei 28 pachistani arrestati a Napoli, nel tentativo di differenziare le loro posizioni. Secondo quanto trapelato, alcuni indagati avrebbero negato che il tritolo rinvenuto fosse esplosivo, sostenendo si trattasse di zucchero di canna.


 
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