il manifesto - 22 Dicembre 2002
«Questa legge non ci piace»
Tutti contro Bossi-Fini Prostitute, transessuali, Arcigay, Lila e associazioni cattoliche accusano il ddl: è xenofobo, illiberale e apre la strada alla tratta «invisibile» delle donne
A. MAS.
La più dura è Pia Covre, fondatrice del comitato per i diritti delle prostitute: «E' una proposta di legge xenofoba», perché «mette paura alla gente e attraverso il sentimento di paura spinge a escludere socialmente le prostitute». Inoltre, «è una legge trappola perché si vuole sbattere in galera le prostitute, le quali potranno anche essere sottoposte a sanzioni pesanti». Per cui «quello che sta accadendo ha tutto il sapore di quei provvedimenti che presero i fascisti e i nazisti quando incominciarono la lotta contro gli ebrei buttandoli fuori dalle case». Fascismo a parte, il ddl che porta ancora una volta la firma Bossi-Fini (con l'aggiunta della Prestigiacomo) e che di fatto spiana la strada alla riapertura delle case chiuse, non si può dire proprio che piaccia ai più diretti interessati. Non piace alle prostitute organizzate, appunto, che ieri hanno distribuito a piazzale Loreto, a Milano, adesivi con la scritta «difendi la tua lucciola di quartiere» e che si preparano a «occupare piazze e strade per dimostrare che sono di tutti». Non piace ai transessuali, che annunciano battaglia. Come? Facendo i nomi dei «primi clienti», vale a dire «la maggior parte di quella gente al governo e in parlamento». La richiesta è quella di avere «almeno delle zone esterne a luci rosse», come sostiene Marcella di Folco, presidente del movimento identità transessuale, secondo la quale siamo di fronte a «un vero e proprio moralismo di stato, un attentato alla libertà», e «quando comincia a venir meno la libertà, le persone deboli e indifese sono le prime a essere colpite». Non piace al presidente dell'Arcigay, nonché parlamentare Ds, Franco Grillini, per il quale «la proposta di legge del governo si può riassumere in quattro parole: spiare, schedare, reprimere, proibire». Non piace alle associazioni cattoliche che assistono le prostitute. «Il governo ha regalato alle donne e all'Italia il più bel regalo di Natale: un disegno di legge che cancella oltre 50 anni di civiltà e di conquiste della dignità», afferma don Oreste Benzi, presidente dell'associazione papa Giovanni XXIII, per il quale con questa legge il governo «abolendo il reato di favoreggiamento dà il via al commercio del sesso e autorizza che ci siano impresari del commercio delle donne e delle bambine. Chi organizza le case chiuse non è altro che un impresario dello sfruttamento del sesso». «I rischi sono chiari: viene riconosciuto il cliente come utente del sesso a pagamento, viene offerta al crimine la possibilità di organizzarsi all'interno di strutture chiuse, vengono consegnate le vittime a un commercio invisibile e sommerso, ma pur sempre inaccettabile», attacca don Cesare Lodeserto, presidente della fondazione Regina pacis di San Foca di Lecce. Non piace alla Lila (Lega italiana lotta all'Aids), che parla di «legge illiberale» a causa della quale «le circa 2.500 donne costrette a lavorare sulla strada con minacce e percosse» ora, «chiuse in una casa, saranno sole e alla mercè dei loro sfruttatori» e «se saranno sulla strada saranno doppiamente perseguitate in quanto clandestine e prostitute».

Non piace nemmeno agli amministratori di condominio, che potrebbero trovarsi alle prese con infuocate assemblee sull'opportunità o meno di vietare la prostituzione nei palazzi. Il ddl prevede infatti la possibilità di affittare a prezzi di mercato appartamenti nei quali si eserciti la prostituzione, senza il rischio di incorrere nel reato di favoreggiamento. Ma «se i possessori di altri appartamenti nel medesimo fabbricato subiscono danno potranno agire nelle forme consentite dal codice civile, mentre i regolamenti di condominio potranno limitare o proibire l'esercizio della prostituzione». «Se una lucciola è discreta perché dovrei vietare in un condominio l'alloggio adibito a prostituzione?», dice Antonio Lupi, consigliere provinciale romano dell'Unai, l'associazione degli amministratori di condominio. Anche perché «ognuno a casa sua è libero di fare ciò che vuole».