il manifesto - 20 Dicembre 2002
STATI UNITI
Arresti in massa di musulmani
Immigrati, andavano a registrarsi in base alla legge antiterrorismo
A. PA.
La paura alla fine si è trasformata in rabbia, e migliaia di iraniani-americani si sono ritrovati mercoledì davanti agli edifici federali di Los Angeles. Protestavano contro gli arresti di loro familiari e concittadini (fra 500 e 1.000 solo in California), trattenuti dalla polizia dopo che si erano presentati volontariamente agli uffici dell'Immigration and Naturalization Service (Ins) per rispondere agli adempimenti imposti dalla nuova legge anti terrorismo agli immigrati, anche regolarizzati, di un gruppo di paesi considerati ad «alto rischio». Una protesta pacifica ma irata, dove si leggevano cartelli con la scritta «E dopo? I campi di concentramento?». Per legge, tutti i maschi di età superiore ai 16 anni provenienti da Iran, Iraq, Libia, Siria e Sudan dovevano presentarsi all'Ins entro lunedì scorso per lasciare le proprie impronte digitali, essere fotografati e interrogati (gli uomini provenienti da altri 13 paesi mediorientali e nordafricani dovranno farlo entro il 10 gennaio). A Los Angeles, secondo gli avvocati di alcune organizzazioni per i diritti civili, almeno un quarto di coloro che si sono presentati finora sono stati ammanettati e arrestati, e detenuti in condizioni incivili, secondo le denunce che parlano di celle gelide e sovraffollate, dove i prgionieri sono costretti a restare in piedi o a dormire seduti per terra. Sul Los Angeles Times si poteva leggere ieri la testimonianza di un legale presente alla scena di un sedicenne strappato a forza dalle braccia della madre piangente. Voci di probabili trasferimenti di detenuti in Arizona venivano riportate sempre ieri dal New York Times. Fonte della notizia alcuni attivisti dei diritti civili, secondo i quali i detenuti potrebbero restare in galera per mesi, in attesa di comparire davanti ai giudici dell'immigrazione.

E' nell'area di Los Angeles che si è registrato un numero di arresti di gran lunga superiore a ogni altro stato stato. Ciò, insieme alle proteste iraniane, si spiega con il fatto che nella California meridionale vivono non meno di 600mila cittadini provenienti dall'Iran.

L'Ins rifiuta di fornire le cifre degli arresti e gli elenchi dei detenuti, limitandosi a dichiarare che i fermi sono giustificati dalle violazioni della legge. Per la maggior parte, si tratta di visti scaduti. Ma, secondo gli avvocati, molti dei fermati avevano già fatto domanda per ottenere la cosiddetta «carta verde» che avrebbe regolarizzato la loro posizione.

L'American Civil Liberties Union (Aclu) è stata sommersa dalle telefonate dei parenti, preoccupati prima ancora che furibondi, degli arrestati. «E' davvero scioccante quel che accade» ha dichiarato il direttore esecutivo dell'Aclu, Ramona Ripston, che paragona quanto accade in questi giorni all'internamento dei giapponesi americani durante la II guerra mondiale. «Gente che si era presentata agli uffici dell'Ins per collaborare è stata imprigionata» sottolinea la responsabile dell'organizzazione.

«Uno shock» anche per Sabina Khan, del Consiglio per le Relazioni islamico-americane, che parla di una comunità musulmana «spaventata e in apprensione» per un evento che l'ha colta di sorpresa «Gente che viene da certi paesi - questo è esattamente quel che si aspetta dai propri governi. Non dall'America». «Si erano tutti presentati volontariamente» ricorda Mike S. Manesh, dell'Associazione degli avvocati iraniano-americani «Se avessero avuto a che fare col terrorismo, non lo avrebbero certo fatto».

Ma è da un bel po' che il buon senso latita nella pubblica amministrazione americana preposta al controllo di luoghi «sensibili». Da ricordare che anche subito dopo l'11 settembre migliaia di arabi e musulmani furono inghiottiti per mesi dalle carceri americane, senza che se ne potesse conoscere la sorte.

Questa nuova ondata di arresti non gioverà certo alla già appannata immagine degli Usa nei paesi islamici. Il corrispondente negli Stati uniti di Al Ahram, uno dei più grandi quotidiani egiziani, si è reso protagonista di un intervento piuttosto polemico mercoledì scorso quando Charlotte Beers, funzionario del Dipartimento di stato, ha presentato immagini di musulmani che vivono felicemente negli Stati uniti, nell'ambito di una campagna «promozionale» rivolta al Medioriente. Khaled Dawoud non si è trattenuto e ha chiesto al sottosegretario come quelle immagini potessero conciliarsi con «gli umilianti» arresti dei giorni scorsi. La Beers ha risposto ricordando che il presidente Bush considera «la protezione del popolo americano» il suo «impegno numero 1».