il manifesto - 19 Dicembre 2002
Una legge da rifare
Immigrati, la Consulta tedesca annulla le nuove norme
GUIDO AMBROSINO
BERLINO
Le nuove norme sull'immigrazione, varate dalla coalizione rosso-verde, avrebbero dovuto entrare in vigore il primo gennaio 2003. Non se ne farà nulla, perché secondo la corte costituzionale quella legge non è mai stata approvata dal Bundesrat. I giudici di Karlsruhe hanno infatti contestato le modalità con cui il 21 marzo scorso la camera dei Länder conteggiò come favorevoli i quattro voti del Brandeburgo, allora decisivi. Secondo la sentenza pronunciata ieri, quei voti non erano validi, perché non espressi in modo univoco. La corte ha così accolto il ricorso presentato da sei regioni a guida democristiana.

Ora si deve ricominciare da capo. L'esito, vista la necessità di un compromesso al Bundesrat dove la coalizione rosso-verde non ha una maggioranza, non potrà che peggiorare la già brutta legge annullata, che legava i flussi d'accesso alle esigenze del mercato del lavoro, introducendo qualche nuova barriera contro gli immigrati «non funzionali».

Il ministro degli interni Schily intende ripresentare subito lo stesso testo, per poi cercare a forza d'emendamenti un'intesa con la Cdu e la Csu. Dalla Baviera Edmund Stoiber manda a dire che è tempo perso. Il disegno di legge andrebbe a suo avviso interamente riscritto, in modo da «limitare davvero» l'immigrazione.

Anche se altri democristiani lasciano intravedere un atteggiamento più «costruttivo», e nonostante il presidente della Confindustria Michael Rogowski e il presidente dell'associazione dei datori di lavoro Dieter Hundt invitino i due maggiori partiti a mettersi rapidamente d'accordo, non c'è da sperare in un risultato prima delle regionali del 2 febbraio in Assia e in Bassa Sassonia. Soprattutto Roland Koch, il primo ministro democristiano del governo regionale di Wiesbaden che parla volentieri di patria e nazione, non si lascerà sfuggire l'occasione per reiterare le sue filippiche.

La costituzione federale prescrive che i Länder, rappresentati al Bundesrat da un numero di delegati variabile da tre a sei a seconda della loro popolazione, esprimano il loro voto in modo «omogeneo». La prassi vuole che i governi di coalizione si astengano se non riescono a accordarsi.

Avrebbe dovuto farlo anche il Brandeburgo, retto da una grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani, diviso sulla legge per l'immigrazione. A marzo andò invece diversamente. Alla domanda del presidente del Bundesrat, che raccoglie oralmente le dichiarazioni di voto, il ministro regionale del lavoro Alwin Ziel, socialdemocratico, rispose «sì»; il suo collega agli interni, il democristiano Schönbohm, lo contraddisse con un sonoro «no».

A questo punto - sostiene la corte costituzionale - il presidente di turno, il borgomastro di Berlino Klaus Wowereit, socialdemocratico, avrebbe dovuto constatare la nullità del voto disomogeneo del Brandeburgo. Invece Wowereit, prevaricando il regolamento, sollecitò ancora un pronunciamento a Manfred Stolpe, allora capo del governo regionale. «In qualità di ministro-presidente dichiaro voto favorevole», rispose il socialdemocratico Stolpe, e tanto bastò per far mettere a verbale come «favorevoli» tutti i quattro voti brandeburghesi.

La legge, ora annullata per difetto di approvazione parlamentare, rompeva col dogma dell'era Kohl, per cui la Germania non doveva essere considerata «un paese di immigrazione». Già nel 1973, alle prime avvisaglie di aumento della disoccupazione, il socialdemocratico Helmut Schmidt aveva bloccato il reclutamento di stranieri da paesi extracomunitari. E sebbene il numero di stranieri residenti sia aumentato a 7,3 milioni nel 2001 (pari quasi al 9 per cento) - in seguito a ricongiungimenti familiari o per l'arrivo di rifugiati - mancava da allora una politica organica d'accoglienza.

Il progetto del ministro Schily, accettando finalmente la realtà di fatto dell'immigrazione, si proponeva di «controllarla e limitarla», aprendo le porte a specialisti stranieri (di regola laureati) o a particolari categorie di cui di volta in volta si riscontri la mancanza (le famose «badanti»). Ma restringeva le norme sui ricongiungimenti (portando da 16 a 12 anni l'età entro cui i figli possono raggiungere i genitori). E istituiva centri di detenzione per gli indesiderati, candidati all'espulsione.