il manifesto - 19 Dicembre 2002
La bomba India
Incontro a Firenze con il documentarista Anand Patwardhan che, in «War and Peace», ci spiega i fondamentalismi, anche hindu
GABRIELE RIZZA
In Gujarath, provincia dell'India nord occidentale al confine col Pakistan, il Bjp, Barathiya Janata Party (Partito nazionale indiano, al governo dal marzo '98) ha stravinto le elezioni col 70% dei suffragi. Una brutta notizia per il documentarista indianoAnand Patwardhan che se lo aspettava, ma non di queste proporzioni. «È giunto il momento di emigrare - prova a sorridere - il problema è dove. Anche dalle vostre parti le cose non vanno per il meglio». Reduce da New York dove i fondamentalisti hindu lo hanno minacciato di morte (ma dove è in procinto di ritornare su invito del Moma), Patawardhan è a Firenze ospite di «River to River», festival del cinema indiano anno due, organizzato da Luca Marziali e Selvaggia Velo, che ha passato (dopo Torino e Roma) il suo incandescente documentario War and Peace.

«E pensare - ci dice Patwardhan - che fino a una decina d'anni fa il Bjp aveva solo un paio di seggi in parlamento. L'ideologia ultranazionalista che lo caratterizza, convinta dell'esclusiva supremazia della cultura hindu, ha pagato moltissimo e presto in termini di consenso popolare, forte anche di un'organizzazione capillare efficente e di un'abilità nel creare allenze locali. Lo slogan più battuto: se è stato creato uno stato musulmano non si capisce perchè dobbiamo tollerare questa convivenza. A dargli manforte poi sono stati gli scandali che hanno travolto il Partito del Congresso, così come ha avuto buon gioco a rovesciare la popolarità di Sonia Gandhi: volete mandare una straniera, un'italiana e per di più cristiana, a governare il vostro paese? Il secolarismo che era uno dei punti di forza del Partito del Congreso adesso è diventata una parolaccia mentre la politica di Sonia Gandhi a favore delle minoranze non ha prodotto gli effetti sperati di riappacificazione. Anzi».

Militante pacifista (la sua famiglia faceva parte dell'entourage del Mahatma Gandhi), il 54enne Patwardhan è da 30 anni il portavoce del dissenso e il testimone più attento e non riconciliato della vita sociale e politica del suo paese, sempre im prima linea nel denunciare i guasti epocali che la attraversano. La sua cinepresa radicalmente autodidatta («non ho frequentato scuole di cinema, non amo la fiction, lavoro solo sui documenti e non mi interessa inventare niente»), si è fatta le ossa alla Brandeis University (Massachussetts), dove studiò sociologia alla fine degli anni 60, filmando le occupazioni e le proteste studentesche contro la guerra del Vietnam. Tornato in India, dopo un film prorifugiati dal Bangladesh, Patwardhan documenta la deriva autoritaria di Indira Gandhi: «nel `74 c'era stato il primo test nucleare a Pokharan, l'anno dopo il governo proclama lo stato di emergenza e assume i pieni poteri, vengono sospesi il parlamento e i diritti civili, molti militanti pacifisti e avversari politici sono arrestati e io sono lì a filmare di nascosto questa sorta di rituale repressivo».

Come in un unico film acceso sui temi del pacifismo e dell'antisfruttamento, seguono un documemntario sugli attivisti marxisti imprigionati e mai rilasciati, uno sulle baraccopoli di Bombay (dove Patwardhan vive) e una trasferta a Vancouver, Canada, per un filmgli sugli emigrati indiani.

Il capitolo successivo, in tre tappe, è incentrato sul fenomeno del fondamentalismo. La prima riguarda i sikh, responsabili nell'84 dell'assassinio di Indira Gandhi e poi oggetto di una repressione durissima (3000 massacrati). «Il mio lavoro si sofferma su Bhagat Singh, un sikh del Punjab che nel `31 fu arrestato dagli inglesi e morì in carcere, dopo aver scritto testi fondamentali contro la violenza a sfondo religioso, fra cui Perchè sono ateo. Tutti hanno fatto a gara per farne un eroe: i sikh contro gli indiani, gli indiani contro gli inglesi, ma nessuno ha mai detto che Singh era prima di tutto un comunista che si batteva contro la logica delle caste. Nel 2001 su di lui sono stati girati tre film a Bollywood, e tutti lo dipingono come un patriota in lotta per l'indipendenza del paese». La seconda tappa, Nel mome di Dio, riguarda l'esplosione del fondamentalismo hindu fino alla distruzione nel `92 della moschea di Ajoadhia, secondo la tradizione («cioé la propaganda hindu») costruita sul luogo dove era nato il dio Ram, mentre la terza, Padre figlio e la santa guerra, è sui disordini e le violenze che seguirono quel tragico evento. «Per questi film ho usato tre registri diversi: mettendo al centro del primo lo strumento della lotta di classe, nel secondo riferendomi all'ineguaglianza di una società fondata sulle caste, nel terzo puntando l'indice sulla figura maschile come generatore e degeneratore delle derive fondamentaliste, a differenza di Gandhi il cui contributo maggiore, come sostiene il filosofo Ashish Nandi, è stato rendere femminile la politica: il negoziato unica via per la coesistenza».

Il viaggio di Patwardhan prosegue fra le denunce contro la costruzione della mega diga di Narmada («un progetto criminale finanziato dalla Banca Mondiale che significa migliaia di villaggi sommersi e il trasferimento forzato di un milione di persone») e contro la libertà di pesca concessa dal governo alle multinazionali del settore («che significa la distruzione di un ecosistema e la fine di un'economia di sopravvivenza per intere popolazioni della costa») fino a War and Peace, tre anni di lavoro per tre ore di immagini, sia girate che d'archivio, che documentano in maniera «oggettiva» l'escalation degenerativa della politica nucleare indiana e per questo invise al governo di Nuova Delhi che ne ha bloccato la circolazione.

«La censura pretende una serie di tagli che mi rifiuto di fare. All'inizio erano solo 6, ora sono diventati 21. La questione è attualmente all'esame della corte di appello di Nuova Delhi. Per fortuna gli avvocati che mi difendono sono amici, ma bastano le spese di cancelleria e i viaggi da un tribunale all'altro a assottigliare le mie finanze».

War and Peace è una coinvolgente carrellata sull'attivismo pacifista che nonostante tutto continua a marciare fra India e Pakistan, contro il macabro entusiasmo per i test nucleari e contro Adul Kalam (il padre del programma missilistico indiano, eletto a luglio presidente della repubblica), nel ricordo sempre più sfocato del Mahatma e del suo insegnamento («se qualcuno sopravvivverà sarà una vittoria senza senso, perchè solo la non violenza può essere il futuro del mondo»). E al tempo stesso è una straordinaria lezione di storia: mentre le miniere di uranio contaminano l'ambiente e rendono i corpi deformi, e nessuno fa niente per fermare lo scempio, dal gettonatissimo museo dell'Aeronautica di Washington, col volo dell'Enola Gay in controluce, si passa ai cimiteri di Hiroshima e Nagasaki, dove qualcuno cerca ancora i suoi morti, mentre la voce di uno storico americano dice finalmente la verità: «da un punto di vista strettamente militare l'uso delle atomiche non era necessario, il Giappone si sarebbe arreso lo stesso. Il fatto è che le bombe erano pronte, bisognava sperimentarle sul campo e soprattutto far vedere al nuovo nemico, l'Urss, che eravamo pronti a usarle e di che cosa erano capaci».

Pluripremiato, da Sydney a Toronto a Bombay («una contraddizione? il festival è statale ma non la giuria, almeno finora») War and Peace è prima di tutto informazione e diritto alla conoscenza: «da noi il problema fondamentale resta l'ignoranza, il non sapere come stanno realmente le cose. Per questo l'ho girato e per questo ora lotto contro la censura, non posso continuare a fare solo proiezioni fra amici. Credo che i piccoli episodi, come la marcia dei due gruppi pacifisti indiani e pakistani che si incontrano, anche se i rispettivi governi fanno di tutto per screditarli, possano essere ispiratori di un nuovo modo di considerare la realtà». Fra i 21 tagli che la censura pretende è emblematico quello che riguarda la sequenza iniziale, dove si vede Nathuram Ghose, il fondamentalista hindu di alta casta, che uccide Gandhi: «Sono immagini ufficiali e non manipolate tratte da un vecchio documentario della Gandhi Film Fondation, ma il partito al governo, Bjp, sta riscrivendo la storia, un po' come succede da voi. I nuovi libri scolastici non dicono, sarebbe un'ammissione insostenibile quanto pericolosa, che Gandhi è stato assassinato da un fondamentalista hindu, e quindi lasciano la verità nell'aria appesa alla domanda: chi ha ucciso Gandhi? Il problema in India non è la religione in sè ma l'uso politico che se ne fa. E l'idea militante della politica in nome della religione è purtroppo diventato un fatto globale».