il manifesto - 08 Dicembre 2002
DIVINO
Migranti all'indice
FILIPPO GENTILONI
La questione della accoglienza - non accoglienza - agli immigrati voluta dalla legge Bossi-Fini dovrebbe ostacolare il rapporto fra chiesa cattolica e governo Berlusconi. Dovrebbe, sia per l'importanza della questione in se stessa, sia per il posto che occupa nell'insieme del pensiero cristiano. In realtà il conflitto è addirittura inesistente o fortemente attutito a livello delle gerarchie, indubbiamente soddisfatte per i favori ottenuti, ultimo il ruolo per gli insegnanti di religione. Rimane, invece, il conflitto in sede locale, dal sud al nord, anche se da tutte e due le parti si cerca di farlo dimenticare. «L'immigrazione ci divide oggi e ancora più ci dividerà in futuro» scrive Famiglia cristiana sotto il titolo eloquente «Siamo `talebani o buonisti'?». Coloro che guardano agli immigrati con paura e chi li considera in modo fiducioso.

Per il cristianesimo - cattolico e non - si tratta di una questione assolutamente cruciale, centrale. L'accoglienza allo straniero non è una nota a margine, un di più. Fa parte essenziale di un atteggiamento, di una cultura, di un'etica. Perchè aveva fatto parte essenziale di una storia, quella biblica. Si veda, fra i molti testi che la illustrano, quello ottimo di Carmine Di Sante, Lo straniero nella bibbia, con il sottotitolo «Saggio sull'ospitalità» (Città aperta edizioni). Chi, invece, insiste sulla identità da salvaguardare e quindi sui limiti alla ospitalità non ha letto la Bibbia, soprattutto non può dirsi cristiano. Come fa oggi Bossi e con lui una parte del nostro nordest - tradizionalmente ritenuto molto cattolico e patria di molti missionari - a sostenere la chiusura delle porte proprio in nome del nostro cristianesimo? Non manca la reazione cristiana, come si è visto a Treviso in questi giorni di fine Ramadan, ma si tratta di una reazione ancora parziale e insufficiente.Come potrà giudicare il resto del mondo il nostro cristianesimo? Non bastano certo i documenti pontifici, né possono bastare i gesti anche eroici di molti volontari cristiani che cercano di accogliere gli immigrati gettati sulle spiagge del sud. I cosiddetti campi di «accoglienza» sono quasi dei lager, in attesa del rimpatrio forzato. Questa è l'immagine di se stesso che il cristianesimo dà allo straniero, proprio l'opposto di quella della Bibbia.

Di Sante, fra i testi che aprono il saggio, cita don Milani: «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dico che nel vostro senso, io non ha paura e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da una lato, privilegiati e oppressori dall'altro». E Di Sant: «Tra le grandi letterature, quella biblica è l'unica che presenta lo straniero non come minaccia da espellere e solo parzialmente da tollerare , bensì come `finestra' o `fessura' dalla quale guardare e rileggere il reale , come luogo ` teologico' e `metafisico' dove Dio - l'Assoluto - irrompe nella storia ed eleva l'io dal piano della soddisfazione di sé all'altezza della responsabilità per l'altro».

Questa «antropologia dell'ospitalità» deve dunque essere una nuova antropologia e una nuova etica. Da questa, non da una qualifica sulla carta d'identità, si dovrebbero riconoscere i cristiani. Quindi dalla contestazione a leggi del tipo di quella Bossi-Fini.

Una contestazione decisa ed autorevole, della quale siamo ancora in attesa.