il manifesto - 06 Dicembre 2002
Allah è grande. A Gentilini non basta
L'altra Treviso, quella che non si riconosce nell'intolleranza del suo sindaco leghista, ha vinto. Più di mille persone hanno partecipato ieri alla preghiera finale del Ramadan nel Palaverde Benetton. Presenti anche i sindacati e la Chiesa
MICHELA SANTI
TREVISO
Siamo tutti figli di Abramo, possiamo e vogliamo vivere insieme». Applausi scroscianti dalla platea dei 1500 fedeli di Allah riuniti nel palasport di Benetton accolgono Don Giuliano Vallotto, sacerdote incaricato dalla diocesi di Treviso delle relazioni con l'islam. Ieri la festa di conclusione del Ramadan è stata una conferma dei musulmani, ma anche della linea di apertura della chiesa all'integrazione. Il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini che aveva rifiutato alla stessa associazione culturale islamica di allestire un tendone a Prato della Fiera, area periferica della città per tradizione luogo dedicato a fiere e circhi, non ha potuto tacere. «Una prova di forza dell'Islam contro la religione cattolica», ha tuonato. Ma la sera precedente nei tg nazionali aveva scagliato i suoi strali anche contro il sacerdote Don Canuto Toso, responsabile diocesano della pastorale migrantes e mediatore dell'affitto del Palaverde. «Vada alla Mecca e ci resti» gli aveva detto Gentilini. E ieri ai margini della moschea improvvisata sul parterre del palazzetto di Benetton, Don Canuto non si è sottratto alla selva di microfoni per rispondere in modo pacato. «Seguo le indicazioni date dal papa - dice - cerco il dialogo con tutti, anche con il sindaco». A tre mesi dal caso nazionale dell'occupazione del duomo da parte di alcune famiglie marocchine sfrattate dalle case popolari, che aveva segnato la prima frattura evidente tra chiesa e governo locale leghista, si rinnova lo scontro. Ma a non raccogliere le provocazioni sono proprio i musulmani. Ieri sono arrivati da tutta la provincia per fare insieme la preghiera del Ramandan: musulmani del Magreb con quelli delle nazioni del centro Africa, Bangla Desh e Pakistan, e le diverse etnie dei Balcani. Ciascuno ha portato i tappeti più belli e vassoi di frittelle fatte in casa per il rinfresco. Gli uomini si sono chinati sul parterre dove la Benetton Basket ha celebrato innumerevoli successi, le donne in disparte, in alto sugli spalti hanno assistito con le figlie e i bambini. Ingenti le forze di polizia e carabinieri: si sono limitate a controllare rigorosamente i curiosi. Tra gli schedati anche Mario Bianchi, un pensionato giunto in autobus da un quartiere di periferia per rendersi conto di persona. «Non mi fido dei giornali - ha spiegato - volevo vedere con i miei occhi. Certo ripetere all'infinito come fanno loro il nome di Allah è allucinante. Comunque mi sembrano tranquilli».

Lontano sugli spalti nel settore delle donne è salita senza farsi notare anche Sabrina Benetton, figlia di Gilberto, proprietario del Palaverde, ed erede dell'impero economico che si estende fino alle praterie argentine. «Sono qui solo per vedere - spiega - sapevo che non ci sarebbero stati problemi. Aprire il Palaverde è stato naturale, queste persone non hanno creato nessun disturbo». Sembra che all'associazione culturale islamica di Treviso, organizzatrice della festa, sia stato chiesto un affitto simbolico. Tutti hanno poi contribuito depositando nella scatola all'entrata la propria offerta. La carità, che per i musulmani è d'obbligo in questa giornata di festa, era anche per la costruzione delle comunità-alloggio per disabili, promossa da un'associazione cattolica. Non hanno pregato, ma sono intervenuti per portare i loro saluti i sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil, il Coordinamento Fratelli d'Italia, il consiglio di fabbrica della Zanussi di Susegana, i no global di M21 (già protagonisti dell'occupazione del duomo l'estate scorsa). Abderrahamane Kounti, intermediario a Treviso dei rapporti del consolato del Marocco, tra i promotori con l'imam Youssef Tadil della «conquista» dell'inedito «palamecca», ha sottolineato l'obiettivo: «Il diritto a praticare la nostra religione fa parte di uno dei diritti che spettano agli immigrati».

I capi religiosi hanno evitato le polemiche politiche, ma non hanno risparmiato calorosi e sonori applausi alle provocazioni dei sacerdoti che hanno rimproverato alla Lega di «avere un deficit di cultura» e di alimentare «polveroni», «guerre di religione», «intolleranza».