il manifesto - 01 Dicembre 2002
Anversa, un puzzle esplosivo di etnie e xenofobia
Dopo gli scontri dei giorni scorsi in città cresce la tensione: sconosciuti lanciano una molotov contro la sinagoga
ALBERTO D'ARGENZIO
ANVERSA
Anversa è una città cosmopolita, almeno a guardare il registro civile. Popolazione ufficiale: 450.258 abitanti. Immigrati residenti: 50.466 (11,21% del totale). Immigrati extracomunitari sul totale : 67%. Principali comunità straniere: turca e marocchina. Insieme a loro si trovano pakistani, congolesi, indiani, cinesi, guineani ed anche polacchi, romeni e yugoslavi.... Senza dimenticare gli oltre 20.000 ebrei che compongono quella che è probabilmente la più importante comunità giudea d'Europa, sicuramente la più ricca, visto che ruota intorno al diamante, di cui Anversa è da fine ottocento la capitale indiscussa (passa di qua oltre l'80% delle pietre grezze ed il 54% di quelle lavorate). I dati del registro civile e quelli dell'immigrazione sono figli della storia di questa ricca città portuale, la seconda del continente. E così Anversa, cresciuta sul lato orientale della Schelda, il suo immenso porto fluviale, è oggi un puzzle etnico reso ancor più vario dai numerosi richiedenti asilo politico che confluiscono qui da tutte le fiandre. Un puzzle in cui però i pezzi faticano a trovarsi, non si incastrano, basta guardare la gente per strada, si muove a scomparti. In un quartiere ebrei ortodossi, in un altro arabi, in un altro turchi, mentre solamente il rito degli acquisti prenatalizi mobilita i belgi e centrifuga in parte le facce, ma solamente nella via del commercio, tra la stazione e la cattedrale. A parlare è però soprattutto la cronaca dell'ultima settimana: un ragazzo marocchino di 27 anni, Mohamed Achrak, ammazzato dal vicino di casa belga martedí pomeriggio, manifestazioni di protesta e rabbia della comunità araba che terminano in scontri con la polizia, il comune ed il governo che reagiscono con la mano dura, la «tolleranza zero», fermano 90 persone e mettono in prigione il leader della Lega araba europea, la Lea, Abou Jahjah, ancora in carcere. Nelle primissime ore di ieri l'ultimo segnale di intolleranza, intorno alle 3 e mezza, una molotov viene lanciata contro la sinagoga di Bouwmeesterstraat, nel pieno centro della città. Un crescendo che si riflette, e trova spiegazione, nei dati elettorali. Alle ultime elezioni amministrative nell'ottobre 2000 un elettore su 3 votava Vlaams Block, il partito dell'estrema destra xenofoba fiamminga, con percentuali vicinissime al 50% nei quartier a nord della città, quelli più «belgi».

Ieri una giornata di calma, una calma che il quartiere di Borgerhout, teatro dell'omicidio e degli scontri, e l'intera città respiravano con avidità, soprattutto perché potrebbe andarsene a breve, «se non liberano presto Abou Jahjah qua torna il casino», ci assicurava Afid, un giovane marocchino. «Il razzismo non si vede - continua un amico di Afid, Fhary - ma lo senti nell'aria, lo percepisci. A scuola gli studenti belgi sono trattati meglio di noi, sul lavoro è lo stesso. I nostri genitori ci dicono che con il lavoro non ci sono problemi, ma sono palle, lo fanno solamente per non farci uscire in strada a protestare, a manifestare. Jahjah (il leader della Lea) parla di diritti anche per noi per questo piace, perché è l'unico che lo fa». Cinquanta metri più in là un uomo di mezza età belga ha una'altra visione «non c'è razzismo, non ci sono problemi di integrazione, sono scesi a manifestare e rompere tutto quando l'omicida era uno psicolabile, altro che movente razzista». Un commerciante pakistano, «ho molti amici belgi», ci invita a ripassare alla chiusura del negozio.

«Se il Vlaams Block prende il 33% al grido di fuori gli immigrati - l'opinione di Marc Swingedouw, sociologo e specialista del Block - allora è chiaro che qualcosa non funziona. L'immigrazione di turchi e marocchini inizia negli anni 70, ma solamente nel 1991 la città ha sviluppato un vero piano per l'integrazione, che è entrato in vigore nel 94. Poi i fondi regionali per l'integrazione sono passati a competenza comunale e visto che la città è indebitata fino al collo gli amministratori hanno pensato bene di dimezzarli». Come sempre non è però solamente una questione economica. Per fronteggiare il Vlaams Block tutti gli altri partiti di Anversa, dalla destra, passando per i liberali, i socialisti ed i verdi, hanno eretto un «cordone sanitario» unendosi contro il pericolo estremista. Risultato: una politica bloccata dal budget e pure dalla schizzofrenia programmatica soprattutto in due campi, quello dell'accoglienza e della sicurezza, in cui verdi e liberali la pensano in maniera completamente diversa. Guarda caso i settori in cui il Block fonda il suo successo. Inoltre incombono le elezioni politiche, fissate a gennaio, e temendo un'ulteriore crescita della destra xenofoba il governo sta reagendo nella maniera più facile, blandendone l'elettorato, ossia stessa enfasi su modi e centralità della sicurezza ma con un discorso meno violento. E così ad Anversa i pezzi continuano a non incastrarsi.