il manifesto - 30 Novembre 2002
Dalla parte dei cacciati
Dall'Egitto all'Egitto, via Italia. Storie di «clandestini»
Mohamed Abdu ha venduto tutto per pagare il viaggio in Sicilia. Ma il sogno è durato tre anni: invece della regolarizzazione è venuto l'arresto e l'espulsione immediata

NOHA OMAR
IIL CAIRO
A Mohamed Abdu non è servito molto veder arrivare la polizia e nascondersi nella stalla. Racconta che c'era un elicottero che pattugliava dall'alto, per avvistare chiunque tentasse di fuggire. Così, insieme ad altri 107 egiziani, Abdu è stato rimpatriato immediatamente, il giorno dopo la retata. In sole due settimane, sono più di 200 i migranti di origine egiziana rimpatriati forzatamente dall'Italia: il ritmo è aumentato moltissimo dopo l'accordo di cooperazione italo-egiziano firmato a fine ottobre. Altri, in numero imprecisato, sono stati fermati nel Mediterraneo prima ancora di approdare alle spiagge italiane.

Abdu era in Italia da 3 anni. Ora al Cairo, davanti a un caffè, racconta la sua storia. Era partito dal villaggio di Mit al Kurama, vicino Mansoura, alla ricerca di fortuna. Sapeva che il viaggio era pericoloso. Sapeva anche che la vita in Italia non sarebbe stata facile. «Ma non mi restava altra scelta che rischiare», racconta. «Ho venduto tutti i mobili della casa di mio padre, mi sono fatto prestare 10mila guinée (circa 2300 euro, ndr) dal trafficante, promettendogliene 20mila entro 6 mesi dal mio arrivo, per arrivare al prezzo previsto dai traghettatori: 15mila guinée». Non si è lasciato impressionare dal viaggio attraverso il deserto per raggiungere il porto libico di Zwara, ai confini con la Tunisia. «E' stato il viaggio in mare che ci ha terrorizzato», ammette. «Ci hanno fatto salire su una barca decrepita, che poteva accogliere al massimo 15 persone e invece ne teneva 40. Ci hanno raccomandato di fingerci marinai».

Samer Ayesh, un altro egiziano deportato, racconta che i pericoli erano evidenti durante tutta la traversata. «Eravamo convinti che ci stavamo scavando la fossa da soli», racconta. «Continuavamo a vedere corpi neri galleggiare. Probabilmente etiopi. Una nave era naufragata il giorno prima». Quando si sono avvistate le coste il «carico» è stato buttato fuori: «A circa 500 metri dall'Italia ci hanno detto di nuotare. Chi ha esitato, ha perso la sua unica chance».

Poi, il racconto assomiglia a quello di tanti altri migranti il cui sogno si è trasformato in incubo. Abdu si è informato a proposito del mercato nero. Ha scoperto che Taranto era una roccaforte di braccianti egiziani: manovali, saldatori, stuccatori, imbianchini, muratori. «In Italia mi pagavano 70 guinée al metro per piastrellare, contro le 7 in Egitto», ci spiega. Sperava, regolarizzato, di poter fare arrivare i fratelli. Ma, con gli altri 1.324 vittime dell'operazione «Vie libere», è stato deportato