il manifesto - 24 Novembre 2002
STRANIERI
Apriti centro
Sette deputati visitano i centri di permanenza temporanea. «Istituzione totale»
CINZIA GUBBINI
ROMA
«Ci troviamo di fronte a un'istituzione totale. Gestione asettica, soffocamento dei conflitti, assenza totale di volontà da parte dell'istituzione di entrare nelle contraddizioni per gestirle e mediare». Ecco come vede il centro di permanenza temporanea (cpt) - quel luogo in cui vengono rinchiusi i «clandestini» in attesa di essere identificati e espulsi - Luana Zanella, parlamentare dei Verdi, che ieri ha partecipato alla campagna del Tavolo migranti dei Social forum contro i cpt. Sette parlamentari sono entrati nei centri di Lamezia Terme, Bologna, Modena, Milano e Roma. Il 30 novembre, a Torino, si terrà una manifestazione nazionale per chiedere la chiusura di questi luoghi, introdotti dalla legge Turco-Napolitano, di cui ancora non è chiara la natura giuridica (chi vi viene rinchiuso, infatti, non ha commesso alcun reato) e che, come se non bastasse, si sono rivelati totalmente inadatti a svolgere la funzione che - sulla carta - avrebbero dovuto ricoprire egregiamente: rendere «effettive» le espulsioni degli immigrati. Non funziona così, invece, i cpt sono tutt'altro: luoghi chiusi e isolati, in cui viene ingabbiato il disagio sociale, murandolo dietro strutture inaccessibili. Le presenza sono reiterate, nel senso che le stesse persone vengono rinchiuse diverse volte, nonostante sia chiaro che non è possibile individuare la loro identità. Cresce la presenza di tossicodipendenti, e nella maggior parte nei centri non viene usato il metadone, ma piuttosto una terapia «sedativa», facile immaginare si tratti di psicofarmaci. E poi, come riferiscono i parlamentari che hanno fatto parte della delegazione, ovunque si riscontra questo curioso dato: una gran numero di ex detenuti, che escono dal carcere e immediatamente vengono rinchiusi per altri 60 giorni nei cpt, in una logica evidentemente repressiva. Infatti, se un immigrato detenuto deve poi essere espulso, le pratiche possono essere avviate in carcere; viceversa se la sua espulsione non è possibile, le istituzioni dovrebbero saperlo.

Pesante la situazione riscontrata a Lamezia Terme, dove il cpt in uno slancio di ironia si chiama «Malgrado tutto»: «Il 70% sono ex detenuti - racconta la deputata del Prc Graziella Mascia - quello che ho notato è il nervosismo delle persone rinchiuse. Si è creato un meccanismo, aggravato dal raddoppio del tempo di reclusione introdotto dalla Bossi-Fini, per cui esci dal carcere, entri nel cpt, ti rimettono in libertà da clandestino, e ti risbattono in carcere. E' micidiale. Oltre che costosissimo». Che il passaggio da 30 a 60 giorni abbia aggravato le cose, è quanto riferisce anche Titti De Simone (Prc), che ha visitato il cpt di Bologna e quello di Modena che dovrebbe aprire i battenti lunedì: «La gestione diventa molto più complessa e pesante, nonostante la Croce rossa di Bologna si comporti bene, cercando di tutelare le storie personali di ciascun trattenuto. Si tratta di un punto molto delicato, e non ovunque viene rispettato». Certo, se chi lavora nel cpt ci mette umanità e impegno, le cose vanno meglio. Per questo i parlamentari di Rifondazione, Ds e Verdi che hanno partecipato alla campagna chiederanno l'istituzione di osservatori permanenti. Ma il problema è il cpt in quanto istituzione, «un luogo di sospensione del diritto» denuncia il Tavolo Migranti. Katia Zanotti (Ds) osserva: «Credo che, dopo l'entrata in vigore della Bossi-Fini, anche i Ds debbano riprendere in mano il filo del discorso su questa istituzione, perché la vigilanza non è sufficiente. E' indispensabile ragionare sulla loro natura e funzione».