il manifesto - 30 Marzo 2002
E in 5 mila marciano nel deserto
Tanti sono i manifestanti attesi oggi a Woomera contro
il «campo degli orrori»
MASSIMILIANO CIVILI
HEIDI GLEDHILL
PORT AUGUSTA (sud Australia)
Palpita, Woomera. Come un cuore strappato da un corpo
ancora caldo. Genti strappate alla vita. Ferve l'attesa dei 500 detenuti
di Woomera per la manifestazione contro la politica sull'immigrazione
del governo liberale. Un rifugiato nel centro di detenzione è riuscito
in qualche modo ad avere un cellulare attraverso il quale le urla dei
suoi compagni, delle donne si sentono forte. Indelebili. Qualcosa di importante
sta succedendo all'interno del centro. Fuori intanto la protesta è gia
iniziata. Fra oggi e domani è previsto l'arrivo di più di 5 mila persone.
Ce ne sono già 1500. Tante, se si pensa che Woomera sorge nel bel mezzo
del deserto a 500 chilometri da Adelaide, la città più vicina. Le forze
dell'ordine con le cariche di ieri e prima ancora con la distruzione della
tenda del pronto soccorso montata dai primi manifestanti, hanno già fatto
capire che aria tirerà oggi e domani. Ai manifestanti è stato consentito
di accamparsi a un chilometro dal centro di detenzione. Le ore si squagliano
lente sotto il sole sudaustraliano. Woomera. L'outback, il deserto.
Un sobborgo di 5 mila abitanti sorto alla fine degli anni quaranta in
un'area destinata alle esercitazioni miltari inglesi e australiane. Oggi
è sede del centro di detenzione per clandestini più duro d'Oceania, simbolo
della protesta dei profughi iraniani, iracheni, afgani. La detenzione
obbligatoria degli immigrati illegali, quelli senza papel, fu una
perversione introdotta dai laburisti nel 1992. Le atrocità di Woomera,
e degli altri centri, vennero coi liberali, qualche anno dopo, con la
privatizzazione delle strutture detentive per rifugiati, affidati in gestione
a spietate compagnie americane. Lontano dagli occhi lontano dal cuore:
gli asylum seekers furono relegati nell'oblio dei deserti australiani,
dove le urla di protesta si spengono negli spazi infiniti.
E' quasi notte e i 1500 manifestanti hanno colmato quel chilometro che
li divideva dal centro di detenzione e i rifugiati. Sono a un passo. La
polizia e i servizi di sorveglianza non sembrano in grado di reggerne
l'urto e sono costretti a lasciarli fare. Sono in tenuta da sommossa ma
non si aspettavano un simile afflusso da subito. « Thank you, thank
you so much for being here», «We have been here for years!» le grida
disperate dei rifugiati ai manifestanti. Divisi solo dai reticolati, ora.
«Freedom!» le urla si intensificano e una piccola porzione di deserto
vibra mentre cominciano a piovere lacrime di commozione. In meno di dieci
minuti due dei tre reticolati che si frappongono fra i rifugiati e la
libertà sono divelti dalla folla. Le urla che provengono attraverso il
cellulare clandestino del detenuto iracheno sono ora disumane. La polizia
e i servizi di sorveglianza cominciano ad attaccare all'interno e fuori
dal centro: picchiano alla cieca e alla fine ci saranno decine di contusi.
Una ventina di rifugiati si arrampicano sull'ultimo reticolato e si gettano
a corpo morto sui manifestanti. Sono in fuga. I manifestanti li vestono
con abiti nuovi, invitandoli a mescolarsi tra la folla. Una decina saranno
ricatturati dai servizi di sorveglianza. Siamo solo all'inizio della manifestazione.
|