il manifesto - 30 Marzo 2002
Woomera, fuga dopo la rivolta
Oltre mille manifestanti assaltano il campo di detenzione
australiano. La polizia carica. Una decina di profughi riesce a fuggire
VITTORIO LONGHI
Sono almeno otto i rifugiati afgani e iracheni scappati
dal centro di detenzione australiano di Woomera, venerdì sera, dopo che
un gruppo di dimostranti è riuscito a varcare la soglia del campo. Per
l'intera giornata, centinaia di attivisti, venuti da ogni parte dell'Australia,
avevano protestato davanti al centro contro la dura politica anti-immigrazione
del governo Howard. La sera, con un atto di disobbedienza civile, hanno
abbattuto alcune reti di recinzione. Le guardie carcerarie dell'Australian
Protective Services non hanno reagito immediatamente, aspettando che i
dimostranti entrassero per iniziare a caricare pesantemente. Nella violenza
degli scontri, circa venti detenuti sono riusciti però a superare guardie
e palizzate con tanto di ferro spinato e, al grido «freedom, freedom»,
si sono mischiati alla folla che ha potuto, così, trarne in salvo almeno
otto, incluso un minore. Sanguinanti per le ferite e i tagli, i rifugiati
sono stati subito medicati nelle tende e forniti di nuovi vestiti. I circa
mille manifestanti hanno fatto sapere che non cederanno alle intimidazioni
e non si muoveranno da lì, anzi, per la domenica di Pasqua, prevedono
l'arrivo di oltre cinque mila persone. «La nostra presenza dà coraggio
ai detenuti, per questo dobbiamo fare in modo che possano vederci e sentirci
quanto più possibile» ha detto Andrea Maksimovic, attivista del gruppo
No-one Is Illegal. Altri hanno denunciato l'uso di cannoni d'acqua e la
pratica di arti marziali da parte delle guardie su chi protestava fuori
del centro.
Intanto, i circa 500 rifugiati presenti a Woomera sono stati trasferiti
in una zona blindata e ai loro avvocati è stato impedito l'ingresso per
tutto il periodo pasquale, fino a che le proteste non saranno terminate.
Ma a Woomera non è la prima volta che la disperazione costringe ad azioni
estreme. Dopo prolungati scioperi della fame a labbra cucite, a gennaio,
dopo continui tentativi di suicidio anche da parte di minori e le realtive
denunce dell'Acnur, della Croce Rossa internazionale e di altre organizzazioni
che difendono i diritti umani, il governo Howard aveva assicurato che
avrebbe risposto a ogni singola richiesta d'asilo, senza uteriori indugi
nella detenzione. Così non è stato. E' chiaro che tenere in queste condizioni,
il più a lungo possibile, anni in alcuni casi, chi cerca rifugio dopo
la fuga da paesi come l'Iraq e l'Afghanistan, fa parte della cieca strategia
di dissuasione dell'amministrazione conservatrice. Tuttavia, il sostegno
popolare ai migranti cresce ogni giorno nel paese. Domenica scorsa, a
Melbourne, Sidney, Brisbane, Adelaide, Perth e Canberra, migliaia persone
chiamate dalle comunità religiose, dai sindacati e dalle organizzazioni
umanitarie, hanno marciato per contrastare la carcerazione obbligatoria.
Solo a Melbourne, il corteo ha raggiunto le 30 mila persone.
Oggetto della contestazione anche l'accordo del Pacifico, in base al quale
molte delle navi cariche di profughi vengono dirottate dalla Marina australiana
su isole minori, sovvenzionate dal governo. «Molti rifugiati sono disperati
perché si chiedono come sia possibile scappare dalla tirannia, dal razzismo,
dalla persecuzione e dal fanatismo per poi ritrovarli qui, di nuovo» ha
detto un rappresentante dei detenuti afghani, Fahim Fayyazi, carcerato
a Woomera per nove mesi.
Al termine della stagione dei monsoni, si aspettano nuovi, ingenti arrivi
dal Medio Oriente e dall'Africa, così il ministro dell'immigrazione, Philip
Ruddock, ha promesso che aumenterà i posti destinati ai rifugiati di 1.600
unità. Il governo ha fatto sapere che potrebbe eliminare, inoltre, i permessi
di soggiorno temporanei «temporary protection visas», che ora si limitano
a tre anni e non consentono di lavorare, studiare, né tantomeno riunire
le famiglie. I permessi diventerebbero tutti permanenti, perciò, ma solo
a condizione che i paesi di provenienza dimostrino collaborazione e controllo
dei flussi migratori in uscita. Una condizione impossibile per la maggiorparte
dei 1.700 detenuti nei vari campi australiani che viene da paesi in guerra.
La politica di Howard continua però a non trovare ostacoli, con l'atteggiamento
perfettamente bipartisan, sull'immigrazione, assunto dalla timida opposizione
laburista.
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